SI DEUS EST CUR MALUM ?
Da dove proviene il
male? La risonanza forte e angosciata di un quesito antico come
l’uomo
“Quare aliqua incommoda bonis
viris accidant, cum providentia sit”: sono queste le parole
famose con cui si apre il dialogo di Seneca su La Provvidenza. Il
tema è antico come la storia delle filosofie e delle religioni:
“Perchè mi adoperi come un bersaglio e fai di me il
centro del tuo tiro”? era una delle domande fondamentali del
Libro di Giobbe. Domanda che in duemila anni ha ricevuto risposte
lungo due diverse direttrici: quella che ha il suo capostipite in
Epicuro e che in sostanza nega ogni intervento nelle vicende umane,
mettendo in dubbio l’essenza stessa della Provvidenza, e quella
che invece parte dagli Stoici, per i quali l’esistenza del
male è necessaria a definire l’esistenza del bene.
Seneca appartiene a questa seconda filiera e il suo saggio è
una vera e propria difesa degli dei, atta a scagionare l’accusa
di non evitare il male ai buoni.
Il vero male per Seneca è quello morale,
estraneo per definizione al vir bonus: i mali, le sofferenze fisiche
e psichiche sono solo inconvenienti o avversità mandati da
Dio all’uomo per provarne la capacità di sopportazione
ed esaltarne la forza morale. Di qui, un rapporto molto fruttuoso
con ciò che nei secoli successivi sarebbe confluito nel pensiero
cristiano, in particolare quello di Agostino, per il quale la sofferenza
mette alla prova la gratuità dell’amore umano nei confronti
di Dio.
Ma le idee di Seneca toccano anche tutta una serie
di testi fino a giungere ai Saggi di Teodicea di Leibniz(1710),
gli scritti derivanti dalle conversazioni che il filosofo tedesco
ebbe con Sofia Carlotta, regina di Prussia nel giardino di Charlottenburg
per educarla a rispondere alla “scandalosa” domanda
di Malebranche: “Perchè mai Dio ha voluto che piovesse
abbondantemente sulla superficie degli oceani, mentre sui deserti,
dove una goccia sarebbe tanto utile, non piove mai?”. Scrive
Leibniz: “Vi sono due labirinti famosi, nei quali molto spesso
la nostra ragione si smarrisce; il primo riguarda la celebre questione
della libertà e della Necessità, grave soprattutto
per il problema dell’origine del male; l’altro si riferisce
alla questione del continuo e degli indivisibili , che ci riportano
alla considerazione dell’infinito. Il primo mette in imbarazzo
l’intero genere umano, l’altro soltanto i filosofi”
.
L’INTERO GENERE UMANO: dunque il quesito
si configura come un labirinto all’interno del quale la parola
Provvidenza si intreccia e si perde con altre come Fato, Fortuna,
Libertà, Grazia...e soprattutto è universale, appartiene
ad ogni uomo, è carico di tradizioni e molteplici soluzioni,
spaziando nell’arco dei secoli. Dalla filosofia alla letteratura:
l’epicureo Lucrezio”Ma perchè Giove lascia stare
chi dovrebbe colpire o colpisce chi non lo merita?(De rerum natura,V,
1233-1234), Dante “O è preparazion che nell’abisso
del tuo consilio fai per alcun bene in tutto dell’accorger
nostro scisso?”(Purgatorio,VI, 121-123) ; Sthendal che chiude
così la questione: “Dio ha una sola scusa: che non
esiste”; fino a Dostoevskij che fa dire a Ivan Karamazov “Se
lo spettacolo dell’armonia cosmica deve pagarsi con la sofferenza
dei bambini, io sono pronto a restituire il biglietto” o a
Camus “Solo il sacrificio di Dio innocente poteva giustificare
la lunga e universale tortura dell’innocenza”...
Oltre duemila anni trascorsi tornando sempre a
quel punto di partenza che poi ogni essere umano conosce dentro
di sè quando viene a contatto con dolori o comunque espressioni
acute del male, perchè ogni volta che la questione si presenta
con rinnovata drammaticità, si rimette in discussione lo
stesso concetto di Dio, sottolineando il valore del dolore nella
vicenda umana.
Affascinante e suggestiva resta ancora oggi la
celebre risposta che è stata data da Agostino di Ippona,
forse il più alto tentativo filosofico e teologico di sciogliere
la grande quaestio...la spiegazione offerta dal filosofo cristiano
suona così suggestiva che per secoli ha costituito un punto
di riferimento e tuttora mantiene la sua validità forse perché
le risposte che egli propone sono un vero attraversamento personale,
passano prima di tutto il cuore e la carne dell’uomo Agostino...non
si tratta infatti di indagare soltanto l’origine metafisica
del male, ma di spaziare sull’analisi impietosa e disincantata
della volontà scissa e sul fascino misterioso che dal male
proviene...
Il vescovo di Ippona è uno dei pensatori
occidentali che ha vissuto con maggior tormento il problema del
male, cimentandosi sistematicamente su di esso; il suo temperamento
sensibile, la sua vivace intelligenza, la sua esperienza esistenziale
di uomo di mondo e di pervicace peccatore lo hanno portato a capire
molto presto che il mondo e l’uomo celano una somma sconcertante
di mali fisici e morali...Si Deus est unde malum? è il primo
interrogativo che per anni affatica Agostino, nel tentativo di definire
il posto che il male occupa in un universo caratterizzato dalla
presenza di un Dio inteso soprattutto come AMORE...”Quando
si chiede da dove deriva il male, prima bisogna cercare cosa sia
il male” scrive il filosofo, cambiando prospettiva speculativa,
in quanto, trovando inconciliabile la realtà del male con
la bontà perfetta di Dio, si risolve a negare la realtà
sostanziale del male: il male è una forma di non-essere del
bene, è una privatio...Dio ha creato tutte le cose, per cui
tutto ciò che è ,in quanto è, è bene,
quindi essere e bene coincidono e sanciscono il male come privazione
di bene, come carenza di bene.Il male poi è funzionale e
complementare al bene, nel senso che anche ciò che a noi
sembra male, in realtà concorre all’armonia del tutto,
anche se ciò sfugge al nostro ingenio deficitario.
La presenza dei malvagi contribuisce all’evidenza
dei buoni, allo stesso modo in cui le antitesi giovano ad abbellire
un carme, o le ombre sono indispensabili per dar risalto alle luci
e i silenzi e le dissonanze servono per esaltare una sinfonia...dunque
il male non ha una sua consistenza ontologica poiché come
tale non esiste ma è solo il momento di una totalità
che di per sé è bene...Eppur noi temiamo continua
il filosofo, spostando il male dalla sua dimensione ontologica a
quella esistenziale, quella che attesta che il male fa parte della
nostra stessa vita e che pur essendo un nulla, si presenta come
un nulla tentatore, inquietante e affascinante, perchè fa
appello alla libertà del soggetto di fronte all’ordine
del creato e lo spinge a rendersi autonomo e ad affermare la sua
volontà e il suo potere...ma così facendo l’uomo
raggiunge solo un’ombra...è il problema sottile del
dramma della volontà che, libera di scegliere, può
decidere di attaccarsi troppo ai beni inferiori, facendo di essi
una fruizione, piuttosto che indirizzarsi verso Dio, il bene assoluto,
l’unica vera fruizione per l’uomo... il male viene così
a configurarsi come una scelta umana non corretta, un’aversio
a Deo e una conversio ad creaturam, non imputabile certo a Dio ma
alla costitutiva incertezza della volontà dell’uomo
e del suo continuo ondeggiare, di cui Agostino ha più volte
fatto una bruciante esperienza..
Ma, è stato detto, Agostino non poteva prevedere
Auschwitz...”Auschwitz ha dimostrato inconfutabilmente il
fallimento della cultura. Il fatto che potesse succedere in mezzo
a tutta la tradizione della filosofia, dell’arte e delle scienze
illuministiche, dice molto di più sul fatto che essa, la
cultura, non sia riuscita a raggiungere e modificare gli uomini”(Adorno)...la
realtà dei campi di concentramento e , in generale, degli
eccidi del XX secolo, porta a riflettere sul totale fallimento della
cultura umanistica occidentale e sull’assoluta vacuità
di ogni visione ottimistica e consolatrice della storia...Di fronte
allo scatenarsi di quella furia, Dio restò muto, scrive il
filosofo Jonas,tacque, abdicando ad ogni forma di potere divino;
alla domanda disperata dei condannati a morte non si può
rispondere con le formule tradizionali del passato di un Dio buono
e onnipotente...l’epifania del male assoluto del ‘900
impone un ripensamento teorico del concetto di Dio,” per riflettere
sulla sua debolezza, sulla sua impotenza nei confronti del male
e sul suo prendersi cura dell’uomo tanto da essere coinvolto
nelle sue vicende”...
Che resta da fare allora all’uomo di oggi?
Forse l’immagine più vicina alla sensibilità
moderna e foriera di cogenti spunti di riflessione è quella
di Edipo re consegnataci dalla tragedia greca, Edipo come sentinella
del male... ll male infatti non sempre si presenta in modo brutale
e improvviso, ma spesso si cela sotto spoglie di apparente e tranquilla
quotidianità, spingendoci ad accettare con anestetizzante
indifferenza il disordine che ci circonda. Per contrastare questa
seducente tentazione bisogna tenere gli occhi aperti, sgranati sul
male, senza avere paura di guardare fisso il cuore dell’orrore,
nella consapevolezza che il male alberga dentro ognuno di noi, è
la nostra Ombra...Il filosofo francese Glucksmann scrive Nulla di
quello che è inumano ti è estraneo, nel senso che
riconoscere dentro di noi l’esperienza del male, della caduta,
della miseria umana serve come antidoto ad ogni forma di chiusura
fanatica e integralista e come spinta a contrastare il negativo,
riconoscendone la sua capacità di attrazione, come dice Agostino...Guardare
il male senza abbassare gli occhi, scrutarlo nelle sue pieghe più
scomode e scandalose, chiamarlo senza paura col suo nome diventa
occasione morale per elevare un grido di ribellione in difesa dell’uomo
e della sua dignità calpestata e offesa dal dolore...il che
vuol dire che solo dalla pietà scaturisce lo scandalo dell’esistenza
del male, solo agli occhi della pietà il male è tale.
“Il giorno in cui il male non ci scandalizzasse più,
in cui l’acqua del ruscello che passa sul volto di un bimbo
annegato ci lasciasse indifferenti come quando la vediamo passare
sui sassi, allora davvero per noi Dio non ci sarebbe più
definitivamente”(S.Quinzio)
Dire Dio può allora significare bisogno
esigenziale di redenzione, di riscatto di tutto il dolore, presente
e passato..Dire Dio è esercitare l’arte della pietà,
quell’arte sentimentale che Dante ben conosce, soprattutto
di fronte al dolore e al buio delle anime perse dell’Inferno...Mostrare
e credere nell’esistenza del male non è allora una
prova dell’inesistenza di Dio, visto che, paradossalmente,
è lo stesso male ad implicarne l’esistenza.
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