Biblioterapia.
Leggere significa prendersi cura di sé
"Chi vive, vive la propria vita;chi legge vive anche le vite
degli altri. Ma poiché una vita esiste in relazione con le
altre vite, chi non legge non entra in questa relazione e dunque
non vive nemmeno la propria vita. La perde. La scrittura registra
il lavoro del mondo"
F. Camon
Si
parla sempre più spesso di biblioterapia, termine che sta
ad indicare l’importanza della lettura come strumento di crescita
personale, di conoscenza di sé, tanto da essere usata anche
a scopo terapeutico; come altri indirizzi di terapia artistica che
si servono ad esempio della danza o della musica, anche la biblioterapia
è oramai internazionalmente riconosciuta: essa ha tradizioni
antiche, facendo parte della dietetica nella sua dimensione attenta
alla dinamica delle passioni e in effetti il suo fondamento fa leva
sulla molla aristotelica della catarsi.
"Con
il termine biblioterapia - scrive la dott.ssa Rosa Mininno, psicologa
e psicoterapeuta - si intende la terapia attraverso la lettura come
strumento di promozione e crescita culturale, come strumento di
aiuto, di acquisizione di conoscenze e promozione di consapevolezza
in situazioni di disagio psicologico e sociale oltre che come tecnica
psicoeducativa e cognitiva in ambito psicoterapeutico.
Prescrivere
un libro aiuta la persona sofferente a riflettere su di sé,
a confrontarsi, a potenziare le sue capacità cognitive ed
emotive sviluppando risorse ed abilità empatiche, acquisendo
conoscenze ed elaborando strategie di gestione del disagio psicologico
adeguate ed efficaci. La lettura e il libro diventano allora strumenti
di promozione della salute e del benessere personale".
Leggere
dunque è un modo importante per prendersi cura di sé,
come scriveva il grande Borges, poiché ogni libro è
un universo. I libri regalano benessere, sono una finestra sul mondo
e una farmacia dell’anima. Per qualsiasi disturbo, carenza,
bisogno, i libri curano, confortano, nutrono. Sono amici fedeli
e inseparabili, soprattutto in momenti di sconforto e di solitudine.
“Nella
lettura l’amicizia è a un tratto ricondotta alla purezza
originaria. Con i libri, niente convenevoli. Passiamo la serata
con questi amici, perché lo desideriamo davvero. Loro, almeno,
spesso li lasciamo a malincuore”(Marcel Proust "Il piacere
della lettura" ).
Lo
stesso sentimento di intima familiarità che ci regala il
nostro Machiavelli nella famosa lettera all’amico Francesco
Vettori (1513), là dove, durante l’esilio coatto, racconta
con composta amarezza le sue giornate, caratterizzate da una dolente
e sofferta solitudine che sembra essere lenita solo dal conforto
gratuito derivante dalla lettura degli amati classici; così
come suscita ancora oggi una profonda emozione la famosa lettera
del 1232 ai dottori di Bologna di Federico II di Svevia , lo stupor
mundi:
"Per
quel generale desiderio di sapere che, per natura, tutti gli uomini
hanno, per quel speciale godimento che alcuni ne derivano, fin dalla
nostra giovinezza abbiamo sempre cercato la conoscenza, abbiamo
sempre amato la bellezza e ne abbiamo sempre, instancabilmente respirato
il profumo
…
quel po’ di tempo che riusciamo a strappare alle occupazioni
che ormai ci sono divenute familiari, non sopportiamo di trascorrerlo
nell’ozio, ma lo spendiamo tutto nell’esercizio della
lettura, affinché l’intelletto si rinvigorisca nell’acquisizione
della scienza, senza la quale la vita dei mortali non può
reggersi in maniera degna di uomini liberi, e voltiamo le pagine
dei libri e dei volumi, scritti in diversi caratteri e in diverse
lingue, che arricchiscono gli armadi in cui si conservano le nostre
cose più preziose".
Un
viatico, dunque antico, il libro verso l’auto-aiuto a crescere
e ad elevarsi in quanto uomini. Molti forse non sanno che sempre
più diffusa tra le cliniche e le strutture ospedaliere è
la pratica di utilizzare i libri in terapia, poiché, se scelti
in modo oculato dal medico a seconda delle singole patologie e degli
specifici casi, sembrano agire in profondità più di
ogni altro farmaco e "trasformano" operando il salto,
il necessario "cambiamento".
"Molti
clinici - continua la dottoressa Mininno - di diverso orientamento
psicoterapeutico adottano la biblioterapia come un homework, un
‘compito a casa’ e ‘prescrivono’ la lettura
di un libro specifico o l’uso di moduli psicoeducazionali
ai propri pazienti in grado di aiutarli nel percorso terapeutico".
Suggestivo
e confortevole pensare che ad ogni affezione dell’animo umano
possa essere affiancata una lettura adatta. "Les maux par le
mots" suggeriscono le scrittrici francesi J. Cahen e M.R. Lefevre.
Potremmo seguire con simpatia il vademecum approntato dal dottor
Andrea Bolognesi, del cui termine biblioterapia vanta l’ideazione.
"Come
negare la lettura di "Madame Bovary " o "Anna Karenina"
o "Casa di bambole" a donne inquiete, tormentate dal desiderio
di evasione e riscatto; così "Eros e Pathos" di
Carotenuto o "Frammenti di un discorso amoroso" di Barthes,
nei casi in cui non si riesca a gestire una sofferenza affettiva
legata a un tradimento subito o una solitudine; per le madri o i
padri troppo possessivi quale medicina migliore del capitolo "I
Figli" tratto dal "Profeta" di Gibran, "Il male
oscuro" di Berto in casi di uomini tormentati da una nevrosi
su cui aleggia lo spettro paterno; o da tematiche religiose o spirituali
e allora "I fratelli Karamazov" vengono in soccorso; o
da inveterata accidia da curare con "Oblomov" di Goncarov;
o da disincantato cinismo, da alleviare con "L’uomo senza
qualità"di Musil, o, nel caso di adolescenti afflitti
da incomunicabilità totale col padre, un ottimo aiuto può
essere la "Lettera al padre"di Kafka."
Sembra
che Camilleri aiuti gli ansiosi, Garcia Marquez i depressi, Dostoevskij
chi mangia e beve troppo. Ma già Diderot nel 1781 scrive
di voler "curare la bigotta moglie Nanette, la quale diceva
di non voler neppure toccare un libro che non contenesse qualcosa
che servisse a elevarla spiritualmente, sottoponendola per alcune
settimane a una dieta di letteratura amena"; così come
il romanziere Proust, nel suo lucido saggio "Sur la lecture",
sottolinea l’aspetto curativo delle buone letture, spiegando
come, a differenza della conversazione che svanisce, la lettura
abbia il potere di penetrare nella psiche del lettore, scuotendolo;
o Dostoevskij ne "L’idiota" fa dire al signor Lébedev
"ho cominciato a curarla con la lettura dell’Apocalisse",
riferendosi agli scatti irosi dell’irrequieta signora Nastasia
Filippovna.
Dunque,
aldilà,comunque, della presenza di patologie conclamate e
vere malattie, è irrinunciabile credere nell’uso esistenziale
della lettura. In effetti, sovente i malesseri dell’anima,
i disagi emotivi ed affettivi non dipendono necessariamente da vere
patologie, quanto piuttosto dal negare spazio alle proprie esigenze
interiori e dal bisogno di dare un senso alla propria vita.
Leggere,
allora, può veramente dilatare lo spazio interiore e aiutare
a trovare un baricentro, poiché la letteratura, in generale,
si rivolge soprattutto al cuore nel senso pascaliano, all’universo
dei sentimenti e delle emozioni e offre uno strumento suggestivo
e intenso per ormeggiare la propria interiorità e per conoscersi
meglio.
In
un mondo che corre vertiginosamente e che ha fatto della perifrasi
“scaricare da internet” una sorta di nuovo comandamento
mediatico, la lettura, attraverso il contatto fisico con la pagina,
rappresenta un’ancora di salvezza alla dispersione di sé
e al caos, un momento “sacro” di pausa e di riflessione,
irrinunciabile per ascoltarsi, scoprire se stessi e prendersi cura
del proprio sé.
"E’
possibile che la letteratura possa guarire? Sì. Le parole
hanno una funzione salvifica, per chi le scrive e per chi le legge"
(M. Belpoliti) e questo perché per essere noi stessi veramente
dobbiamo avere noi stessi, possederci, possedere la storia del nostro
vissuto.
"Dobbiamo
ripetere noi stessi, rievocare il nostro dramma interiore, il racconto
di noi stessi, quel racconto interiore di cui l’uomo ha bisogno
per conservare la propria identità, il proprio sé"
(O. Sacks, "L’uomo che scambiò sua moglie per
un cappello") e il libro è lo strumento principe per
tessere e tramare quel racconto interiore la cui continuità,
il cui senso è la nostra stessa vita.
Quale
miracolo avviene nel momento della lettura? Viene totalmente investita
la vita interiore del soggetto! Si accende una comunicazione personale,
intima, stretta con la cultura attraverso una dimensione vissuta
da parte di chi legge. In effetti cosa vuol dire avere cura di se
stessi? Cura sui?
Significa
semplicemente ascoltarsi, analizzarsi, interrogarsi secondo un processo
equilibrato di strutturazione e ristrutturazione di sé e
lo strumento per realizzare pienamente questo processo è
la lettura intesa come immersione nel testo, estraniandosi, oggettivandosi
per ricondurre a sé, in una dinamica centripeta, i contenuti
del testo stesso.
E’
magico il transfert che si viene a creare tra autore e lettore,
una sorta di complicità carica di suggestioni e di intensità
poiché l’universo semantico del libro diventa per il
lettore un rifugio, uno specchio non deformante, un mondo cui attingere
per articolare maggiormente la formazione del proprio sé.
Certo,
come scrive Pennac "il verbo leggere, come il verbo sognare
e amare, non sopporta l’imperativo", quindi non è
auspicabile un’imposizione che porterebbe ad una lettura come
tortura, ma chi non legge non sa davvero quello che perde ed è
questo che si deve cercare di comunicare e di far comprendere. Il
libro può avere veramente una funzione di guida, in qualità
di "ago magnetico" che orienta la nostra ricerca esistenziale,
nel tentativo di trovare una risposta alle grandi domande della
vita.
I
grandi libri, in particolare, hanno tale funzione terapeutica, poiché
svegliano, scuotono, "costringono" all’ascolto di
se stessi e mettono in viaggio il loro valore universale. Cavalcano
le fredde ali del tempo, attraversando epoche, storie, culture,
religioni diverse, in quanto hanno una risonanza trasversale che
va a toccare nel profondo le corde interiori dell’uomo di
sempre.
Forse
racchiudono "l’inesauribile segreto", la "cifra
ermeneutica" che squaderna il libro dell’universo interiore
che da sempre dorme dentro ogni uomo e che è specimen del
suo essere un inestricabile, eterno, affascinante mistero.
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