Manuela Racci


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Biblioterapia

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Biblioterapia. Leggere significa prendersi cura di sé




"Chi vive, vive la propria vita;chi legge vive anche le vite degli altri. Ma poiché una vita esiste in relazione con le altre vite, chi non legge non entra in questa relazione e dunque non vive nemmeno la propria vita. La perde. La scrittura registra il lavoro del mondo"
F. Camon

Si parla sempre più spesso di biblioterapia, termine che sta ad indicare l’importanza della lettura come strumento di crescita personale, di conoscenza di sé, tanto da essere usata anche a scopo terapeutico; come altri indirizzi di terapia artistica che si servono ad esempio della danza o della musica, anche la biblioterapia è oramai internazionalmente riconosciuta: essa ha tradizioni antiche, facendo parte della dietetica nella sua dimensione attenta alla dinamica delle passioni e in effetti il suo fondamento fa leva sulla molla aristotelica della catarsi.

"Con il termine biblioterapia - scrive la dott.ssa Rosa Mininno, psicologa e psicoterapeuta - si intende la terapia attraverso la lettura come strumento di promozione e crescita culturale, come strumento di aiuto, di acquisizione di conoscenze e promozione di consapevolezza in situazioni di disagio psicologico e sociale oltre che come tecnica psicoeducativa e cognitiva in ambito psicoterapeutico.

Prescrivere un libro aiuta la persona sofferente a riflettere su di sé, a confrontarsi, a potenziare le sue capacità cognitive ed emotive sviluppando risorse ed abilità empatiche, acquisendo conoscenze ed elaborando strategie di gestione del disagio psicologico adeguate ed efficaci. La lettura e il libro diventano allora strumenti di promozione della salute e del benessere personale".

Leggere dunque è un modo importante per prendersi cura di sé, come scriveva il grande Borges, poiché ogni libro è un universo. I libri regalano benessere, sono una finestra sul mondo e una farmacia dell’anima. Per qualsiasi disturbo, carenza, bisogno, i libri curano, confortano, nutrono. Sono amici fedeli e inseparabili, soprattutto in momenti di sconforto e di solitudine.

“Nella lettura l’amicizia è a un tratto ricondotta alla purezza originaria. Con i libri, niente convenevoli. Passiamo la serata con questi amici, perché lo desideriamo davvero. Loro, almeno, spesso li lasciamo a malincuore”(Marcel Proust "Il piacere della lettura" ).

Lo stesso sentimento di intima familiarità che ci regala il nostro Machiavelli nella famosa lettera all’amico Francesco Vettori (1513), là dove, durante l’esilio coatto, racconta con composta amarezza le sue giornate, caratterizzate da una dolente e sofferta solitudine che sembra essere lenita solo dal conforto gratuito derivante dalla lettura degli amati classici; così come suscita ancora oggi una profonda emozione la famosa lettera del 1232 ai dottori di Bologna di Federico II di Svevia , lo stupor mundi:

"Per quel generale desiderio di sapere che, per natura, tutti gli uomini hanno, per quel speciale godimento che alcuni ne derivano, fin dalla nostra giovinezza abbiamo sempre cercato la conoscenza, abbiamo sempre amato la bellezza e ne abbiamo sempre, instancabilmente respirato il profumo

… quel po’ di tempo che riusciamo a strappare alle occupazioni che ormai ci sono divenute familiari, non sopportiamo di trascorrerlo nell’ozio, ma lo spendiamo tutto nell’esercizio della lettura, affinché l’intelletto si rinvigorisca nell’acquisizione della scienza, senza la quale la vita dei mortali non può reggersi in maniera degna di uomini liberi, e voltiamo le pagine dei libri e dei volumi, scritti in diversi caratteri e in diverse lingue, che arricchiscono gli armadi in cui si conservano le nostre cose più preziose".

Un viatico, dunque antico, il libro verso l’auto-aiuto a crescere e ad elevarsi in quanto uomini. Molti forse non sanno che sempre più diffusa tra le cliniche e le strutture ospedaliere è la pratica di utilizzare i libri in terapia, poiché, se scelti in modo oculato dal medico a seconda delle singole patologie e degli specifici casi, sembrano agire in profondità più di ogni altro farmaco e "trasformano" operando il salto, il necessario "cambiamento".

"Molti clinici - continua la dottoressa Mininno - di diverso orientamento psicoterapeutico adottano la biblioterapia come un homework, un ‘compito a casa’ e ‘prescrivono’ la lettura di un libro specifico o l’uso di moduli psicoeducazionali ai propri pazienti in grado di aiutarli nel percorso terapeutico".

Suggestivo e confortevole pensare che ad ogni affezione dell’animo umano possa essere affiancata una lettura adatta. "Les maux par le mots" suggeriscono le scrittrici francesi J. Cahen e M.R. Lefevre. Potremmo seguire con simpatia il vademecum approntato dal dottor Andrea Bolognesi, del cui termine biblioterapia vanta l’ideazione.

"Come negare la lettura di "Madame Bovary " o "Anna Karenina" o "Casa di bambole" a donne inquiete, tormentate dal desiderio di evasione e riscatto; così "Eros e Pathos" di Carotenuto o "Frammenti di un discorso amoroso" di Barthes, nei casi in cui non si riesca a gestire una sofferenza affettiva legata a un tradimento subito o una solitudine; per le madri o i padri troppo possessivi quale medicina migliore del capitolo "I Figli" tratto dal "Profeta" di Gibran, "Il male oscuro" di Berto in casi di uomini tormentati da una nevrosi su cui aleggia lo spettro paterno; o da tematiche religiose o spirituali e allora "I fratelli Karamazov" vengono in soccorso; o da inveterata accidia da curare con "Oblomov" di Goncarov; o da disincantato cinismo, da alleviare con "L’uomo senza qualità"di Musil, o, nel caso di adolescenti afflitti da incomunicabilità totale col padre, un ottimo aiuto può essere la "Lettera al padre"di Kafka."

Sembra che Camilleri aiuti gli ansiosi, Garcia Marquez i depressi, Dostoevskij chi mangia e beve troppo. Ma già Diderot nel 1781 scrive di voler "curare la bigotta moglie Nanette, la quale diceva di non voler neppure toccare un libro che non contenesse qualcosa che servisse a elevarla spiritualmente, sottoponendola per alcune settimane a una dieta di letteratura amena"; così come il romanziere Proust, nel suo lucido saggio "Sur la lecture", sottolinea l’aspetto curativo delle buone letture, spiegando come, a differenza della conversazione che svanisce, la lettura abbia il potere di penetrare nella psiche del lettore, scuotendolo; o Dostoevskij ne "L’idiota" fa dire al signor Lébedev "ho cominciato a curarla con la lettura dell’Apocalisse", riferendosi agli scatti irosi dell’irrequieta signora Nastasia Filippovna.

Dunque, aldilà,comunque, della presenza di patologie conclamate e vere malattie, è irrinunciabile credere nell’uso esistenziale della lettura. In effetti, sovente i malesseri dell’anima, i disagi emotivi ed affettivi non dipendono necessariamente da vere patologie, quanto piuttosto dal negare spazio alle proprie esigenze interiori e dal bisogno di dare un senso alla propria vita.

Leggere, allora, può veramente dilatare lo spazio interiore e aiutare a trovare un baricentro, poiché la letteratura, in generale, si rivolge soprattutto al cuore nel senso pascaliano, all’universo dei sentimenti e delle emozioni e offre uno strumento suggestivo e intenso per ormeggiare la propria interiorità e per conoscersi meglio.

In un mondo che corre vertiginosamente e che ha fatto della perifrasi “scaricare da internet” una sorta di nuovo comandamento mediatico, la lettura, attraverso il contatto fisico con la pagina, rappresenta un’ancora di salvezza alla dispersione di sé e al caos, un momento “sacro” di pausa e di riflessione, irrinunciabile per ascoltarsi, scoprire se stessi e prendersi cura del proprio sé.

"E’ possibile che la letteratura possa guarire? Sì. Le parole hanno una funzione salvifica, per chi le scrive e per chi le legge" (M. Belpoliti) e questo perché per essere noi stessi veramente dobbiamo avere noi stessi, possederci, possedere la storia del nostro vissuto.

"Dobbiamo ripetere noi stessi, rievocare il nostro dramma interiore, il racconto di noi stessi, quel racconto interiore di cui l’uomo ha bisogno per conservare la propria identità, il proprio sé" (O. Sacks, "L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello") e il libro è lo strumento principe per tessere e tramare quel racconto interiore la cui continuità, il cui senso è la nostra stessa vita.

Quale miracolo avviene nel momento della lettura? Viene totalmente investita la vita interiore del soggetto! Si accende una comunicazione personale, intima, stretta con la cultura attraverso una dimensione vissuta da parte di chi legge. In effetti cosa vuol dire avere cura di se stessi? Cura sui?

Significa semplicemente ascoltarsi, analizzarsi, interrogarsi secondo un processo equilibrato di strutturazione e ristrutturazione di sé e lo strumento per realizzare pienamente questo processo è la lettura intesa come immersione nel testo, estraniandosi, oggettivandosi per ricondurre a sé, in una dinamica centripeta, i contenuti del testo stesso.

E’ magico il transfert che si viene a creare tra autore e lettore, una sorta di complicità carica di suggestioni e di intensità poiché l’universo semantico del libro diventa per il lettore un rifugio, uno specchio non deformante, un mondo cui attingere per articolare maggiormente la formazione del proprio sé.

Certo, come scrive Pennac "il verbo leggere, come il verbo sognare e amare, non sopporta l’imperativo", quindi non è auspicabile un’imposizione che porterebbe ad una lettura come tortura, ma chi non legge non sa davvero quello che perde ed è questo che si deve cercare di comunicare e di far comprendere. Il libro può avere veramente una funzione di guida, in qualità di "ago magnetico" che orienta la nostra ricerca esistenziale, nel tentativo di trovare una risposta alle grandi domande della vita.

I grandi libri, in particolare, hanno tale funzione terapeutica, poiché svegliano, scuotono, "costringono" all’ascolto di se stessi e mettono in viaggio il loro valore universale. Cavalcano le fredde ali del tempo, attraversando epoche, storie, culture, religioni diverse, in quanto hanno una risonanza trasversale che va a toccare nel profondo le corde interiori dell’uomo di sempre.

Forse racchiudono "l’inesauribile segreto", la "cifra ermeneutica" che squaderna il libro dell’universo interiore che da sempre dorme dentro ogni uomo e che è specimen del suo essere un inestricabile, eterno, affascinante mistero.

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